Opificio Lamantini Anonimi
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03 feb 2025

Serverless non è magia. È architettura con disciplina

Oltre il buzzword: perché serverless non significa “senza pensieri”, ma “con più responsabilità (ben distribuite)”.

"Non ci sono bacchette magiche nell’architettura software. Solo decisioni consapevoli che disegnano il futuro di un sistema."

Cos’è davvero il serverless?

Serverless non è l’ennesimo trucco cloud per sviluppare più in fretta. È un cambio di paradigma, una promessa audace: spostare la complessità infrastrutturale fuori dal tuo codice per concentrarti sul valore reale del tuo prodotto.

Ma no, non è un Eden dove i server non esistono. I server ci sono eccome, solo che non sei tu a gestirli. E questa è una grande libertà. Ma anche una grossa responsabilità.

La leggenda del “deploy e via”

L’idea che basti scrivere una funzione e spedirla nel cloud per avere un sistema scalabile, sicuro, manutenibile e performante è una mezza verità. O meglio, è una mezza verità nella misura in cui credi che una torta si faccia solo con farina e zucchero.

In realtà, fare serverless bene significa padroneggiare:

  • il disegno dei flussi e delle API
  • i limiti e i costi di invocazione
  • la gestione degli eventi e delle dipendenze
  • l’osservabilità
  • la sicurezza nei contesti distribuiti

Altrimenti rischi l’effetto “hydra”: tagli un problema, ne crescono due.

Più responsabilità, non meno

La vera promessa del serverless non è fare meno, ma fare meglio: in modo più modulare, scalabile, testabile. Richiede pensiero architetturale, rigore nei confini, attenzione nella gestione delle risorse.

Ogni funzione, ogni stream, ogni trigger è un contratto. E come ogni contratto va mantenuto.

Dimentica il mito del codice-rapido-da-produrre: scrivere una Lambda è semplice, scriverne cento mantenibili è un altro sport.

Quando (non) usare il serverless

Non tutto è un chiodo, e il serverless non è un martello universale. Ci sono casi in cui è perfetto:

  • carichi intermittenti o imprevedibili
  • progetti con time-to-market aggressivo
  • architetture a eventi (event-driven)
  • esigenze di scalabilità orizzontale estrema

E poi ci sono i “segnali d’allarme”:

  • latenze inaccettabili
  • necessità di controlli granulari sul sistema operativo
  • dipendenze legacy o non compatibili con l’esecuzione in ambienti serverless

Il nostro approccio da lamantini

In Opificio lavoriamo serverless-first da oltre sei anni. Ma questo non vuol dire che diciamo sempre “sì” al serverless. Significa che partiamo da lì, ma poi decidiamo con la testa, non con l’hype.

Ogni progetto viene valutato con attenzione. Usiamo AWS Lambda, Cloudfront, API Gateway, ma anche Next.js, Node.js e Firebase. Se serve performance estrema, possiamo ibridare. Se serve sostenibilità economica, ottimizziamo ogni chiamata.

E soprattutto: non facciamo mai “upload e via”. Ogni deploy è il risultato di un processo di analisi, test, monitoraggio e iterazione.

Il serverless è un’arte disciplinata

Lo diciamo sempre ai nostri clienti: se stai cercando il modo più rapido per buttare online qualcosa, ci sono mille strumenti. Ma se vuoi costruire un prodotto solido, elegante e scalabile, il serverless è una tela bianca meravigliosa. Basta saperci disegnare sopra.

E come ogni arte, richiede mestiere, passione e uno spirito un po’ geek.

Che sia un’idea, una curiosità, una sfida da affrontare, per noi non è mai “solo un contatto”.

È l’inizio di una conversazione, magari davanti a un caffè, reale o virtuale che sia.

Compila il form qui sotto e raccontaci cosa ti passa per la testa.

Promesso: niente automatismi, solo lamantini veri (con tastiera e cervello ben accesi).