L’arte di dire tutto senza dire niente
Ogni founder ha un sogno. E ogni pitch ha una serie di parole pronte a strangolarlo con un cavo USB: disruptive, scalable, game-changer, best-in-class, AI-powered, frictionless. Parole che dovrebbero impressionare, ma ormai fanno solo sbadigliare.
Che sia in una call con investitori, in un contest da coworking o in un reel su LinkedIn, la trappola è dietro l’angolo: dire qualcosa che suona bene… ma non vuol dire nulla. Ecco perché abbiamo deciso di stilare una guida semiseria alle parole più abusate nei pitch, con l’obiettivo di ridere un po’ (e magari riscrivere qualcosa meglio).
“Disruptive”: quando tutto è rivoluzionario, niente lo è
Usata talmente tanto che persino le calze antimacchia ora si definiscono disruptive. Il problema? Se tutto è una rivoluzione, niente lo è davvero. Ogni pitch oggi è la rivoluzione della rivoluzione precedente. Ma come diceva quel tale (forse Darwin, forse un copy in overdose da Slidebean): “La vera innovazione è silenziosa.”
Alternative possibili: innovativo, non convenzionale, inedito. Oppure, ancora meglio: dimostralo, invece di dirlo.
“Scalable”: il Santo Graal delle startup (che spesso finge di esserlo)
La scalabilità è quella cosa che tutti dicono di avere, ma nessuno riesce a spiegare davvero. Spoiler: non basta usare AWS per essere scalabili. Scalare non è un verbo magico, è una conseguenza di un modello che funziona prima di crescere.
Test semiserio: se la tua startup ha bisogno di 5 persone per ogni nuovo cliente, non è scalabile. È solo entusiasticamente artigianale (che va benissimo, ma è un altro sport).
“AI-powered”: anche il tostapane ora ha un algoritmo
L’intelligenza artificiale è ovunque, anche dove non serve. Un algoritmo che ordina le viti per dimensione? AI-powered. Un form con due logiche IF? AI-powered. La verità è che se tutto è AI, nulla è smart.
Consiglio da lamantino: se usi AI, spiega come. Se non la usi davvero, evita l’etichetta e salva il karma del tuo pitch.
“Frictionless”: la parola più scivolosa di tutte
Promettere un’esperienza “senza attriti” è come giurare che la tua app “caricherà all’istante”. Forse il concetto è nobile, ma dire “frictionless” non basta. Serve mostrarlo. E serve pensarci prima, magari con qualche test utente (che non è la nonna in salotto).
Traduzione onesta: “abbiamo lavorato per semplificare il processo, ma qualche bug ci scappa ancora”.
“Uber of X”: il pitch Mad Libs per eccellenza
“È come Uber ma per cani.” “È come Tinder ma per chi ama i bonsai.” “È come Netflix ma per articoli di ferramenta.” Basta. Il pitch-comparazione ha stufato. Spiega cos’hai creato davvero, invece di appoggiarti a paragoni stanchi.
Consiglio radicale: osa dire la verità. Anche se non è sexy come Uber.
“Best-in-class”: e chi lo ha deciso?
Definirsi “i migliori del settore” in un documento pensato per convincere altri è un po’ come dire che sei “simpatico” nella bio di Tinder. Funziona solo se lo dice qualcun altro.
Pro-tip: i dati valgono più degli aggettivi. Dimostra, non dichiarare.
Allora, che parole usare?
Più che cercare sinonimi, il vero consiglio è questo: descrivi davvero ciò che fai. Sii preciso, specifico, onesto. Un pitch efficace è come un buon espresso: concentrato, chiaro, senza zucchero.
Non serve un lessico da Silicon Valley, serve una storia che abbia senso, che parli di problemi reali e soluzioni tangibili. Con un pizzico di anima.
Il vero pitch? È quello che racconta la tua unicità
Le parole vuote puzzano di plastica. Le parole vere fanno rumore. Raccontare bene un’idea non significa agghindarla come se dovesse andare a un matrimonio. Significa toglierle il superfluo finché resta solo il succo.
E magari, in fondo, aggiungere un lamantino. Non cambia il pitch, ma rende il tutto più memorabile.